Il
percorso dell’avventura umana non è per nulla ineluttabile, lo
sappiamo bene. Se 66 milioni di anni or sono non fosse piovuto dal
cielo un certo sassolino, a dominare in questo pianeta sarebbero
probabilmente ancora dei rettili giganteschi.
E chissà quanti altri
analoghi petardi ci hanno mancato per un colpo di vento divino. Del
resto era già tutto scritto, altrimenti Gesù e Maometto non
sarebbero mai nati. Se poi siamo passati dalle palafitte ai
grattaceli, dalle lucerne ad olio alle lampade a Led, da Michelangelo
Buonarroti a Michelangelo Pistoletto, qualcosa vorrà pur dire.
Anche
se forse non ce ne rendiamo ancora ben conto, stiamo incominciando a
vivere tempi molto interessanti. Almeno noi che non viviamo sotto i
cieli intensi di Siria e Afghanistan. Per molti aspetti è in atto
non solo una cesura col Novecento ma con gran parte della nostra
storia precedente.
Nonostante miliardi d’individui stentino a
campare, si fa sempre più leggibile la possibilità di separare
l’economia dalla vita, dal nonsenso dell’impero del valore di
scambio, dalla funzione che aliena il lavoratore, dalla curva
variabile dei mercati che decide a distanza il destino dell’umanità.
Il
capitalismo esibisce la sua verità e la sua menzogna e mette in
scena il proprio fallimento con la stessa dedizione con la quale
aveva messo in piedi lo spettacolo del benessere per tutti e senza
fine. Ormai sono degli organismi privati che si sostituiscono allo
Stato borghese vacillante, gestiscono tutto, dalle carceri alla
miseria, dalla previdenza sociale al gioco d’azzardo, dall’acqua
a ogni tipo d’inquinamento.
Ciò segnala l’imminenza del diluvio
e la necessità di costruirci un’arca dove trovare posto. È già
ciò che hanno fatto, mentre molti di noi s’attardano con elezioni
e sondaggi, i ricchi nei loro rifugi esclusivi e sorvegliati.
La
disoccupazione e il precariato di massa sono aspetti della
contraddizione crescente tra sviluppo delle forze produttive e vecchi
rapporti di produzione, contraddizione che deflagrerà per alcuni dei
motivi apparentemente casuali che si sono andati accumulando.
E, al
solito, si guarderà a quei motivi trascurando il fattore dinamico
per eccellenza del capitalismo, quel fattore che il professor
Cacciari chiama “risparmio di lavoro necessario”. E tutto ciò
non perché la produttività del lavoro cade ma anzi perché è
aumentata enormemente.
Questa
realtà in qualche modo si sta chiarendo anche al senso comune,
insinuando possibilità che però non avranno futuro se non si
procederà con un violento rovesciamento dell’attuale sistema
coercitivo di estrazione del plusvalore e dunque, cosa che ogni
benpensante piccolo borghese trascura, con il superamento del
carattere di classe del processo lavorativo (e distributivo).
È
tutto interesse degli ex rigattieri del marxismo, al servizio della
borghesia, far credere ai fanciullini che blaterano di salario di
cittadinanza che attraverso un riformismo di facciata sia possibile
risolvere le catastrofi della società borghese.
Questi
fanciulli pensano che siano fatti neutrali la scienza e la tecnica,
le relazioni mercantili, il processo lavorativo capitalista e, per
analogia, quello di ricevere dei sussidi per campare senza lavorare.
Che ciò non implichi invece l’assoggettamento e l’esautorazione
dei proletari dalla sfera economica, il controllo e il ricatto
politico di qualsiasi loro iniziativa.
Allo Stato, espressione degli
interessi della borghesia, per esercitare le proprie prerogative e
rigori, basterà, in nome delle sovvenzioni accordate ai cittadini,
escludere o revocare i suoi benefici a coloro i quali avranno
demeritato i suoi temibili favori (il terrorismo previdenziale, anche
se vicenda assai diversa per certi riguardi, dovrebbe illuminare).
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