uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

giovedì 31 dicembre 2015

Clemente Di Leo, ragazzo e poeta.



Per iniziare l'anno in bellezza, presento alcuni versi di Clemente Di Leo, un  ragazzo e poeta abruzzese dallo splendido talento, la cui vita purtroppo è stata molto breve. Ritrovo in lui la giovinezza e i luoghi che amo.
Buon 2016.
***





“Dirupi d’Abruzzo sono la mia reggia.
L’ho colorata d’azzurro con la mia voce
frantumata in getti di parole”.


Clemente "Dino" Di Leo è nato a Colledimacine nel 1946.  All’età di dodici anni, per le complicazioni seguite ad un’operazione di tonsille ha contratto un grave vizio cardiaco. Aveva appena fatto la prima media e si fermò lì: non poté più proseguire gli studi né avviarsi a qualche mestiere. Si dedicò ai versi da autodidatta, confrontandosi con la maestosa letteratura europea e intervenendo con presenza vivace e polemica ai fermenti che animarono negli anni Sessanta i convegni di poesia regionali. “Sono il primo lupo rosso della Majella che deserta le tane buie degli avi e si sdraia sui divani delle case come un’antica belva sacra”. La sua prima opera stampata, ‘Frammento lirico’, è legata ad un’idea ingegnosa, si racconta che di propria tasca pagò le spese di stampa e per renderla appetibile agli acquirenti, s’inventò una storia particolare: si fece passare per editore che aveva raccolto postumi gli scritti di un suo giovanissimo amico straniero, Massimo Rocovic, morto suicida. Dino si scrisse anche la prefazione, spacciandosi per Leo Fosco.



Clemente viaggiava in autobus recandosi frequentemente a Pescara, sia per consultare le biblioteche, sia per vendere i suoi libri. Camminava sulle spiagge adriatiche, fermava i bagnanti e proponeva loro l’acquisto di Cimeli, di Frantumi di una reggia azzurra, di Una lunga puzza
La svolta per la sua carriera artistica avvenne nel giugno del 1970 quando vinse con Gilgamesh, un poemetto di taglio narrativo e leggendario, il premio aquilano la “Madia d’oro”. Per la prima volta la sua opera ebbe un editore ed una vera introduzione
corredata da Giuseppe Porto che così lo elogiava: “La poesia di Clemente di Leo scaturisce dalla roccia, dagli stagni, dalla zolla, dalle cantine, dalle carte del tressette, dal sole. E’ tutto strano nella  vita e nell’opera di questo abruzzese cresciuto come un toro, ribelle e spavaldo". Un mese dopo, il 4 luglio, di ritorno dall’Aquila, dopo aver ritirato il suo premio, volle festeggiare l’evento con gli amici. Gli era proibito bere, mangiare eccessivamente e affaticarsi. Quella notte bevve molto, mangiò a crepapelle, e stette fuori quasi fino all’alba. Il mattino dopo, fu ritrovato agonizzante nel letto di casa. Non ci fu nulla da fare.
 E' morto a 24 anni nel 1970. Un suo verso dice: “Poeti come me si contano sulle dita di una mano”



foto di Michele Foschi

È magnifico essere poeta. Hai in gola un vaso di marmellata e nelle viscere un velo di seta che preso anche da un’aquila o da un missile e tirato per sempre negli spazi non si arrende mai, della sua infinitezza anzi può avvolgere tutto l’universo”


A proposito di "Frantumi di una reggia azzurra"

"Siamo gente dura dalle pupille dolci, 
foglie al vento pregne di clorofilla…"




La raccolta “Frantumi di una reggia azzurra” è del 1966,
(Un libro nuovo per idee e forma narrativa.) un'  autoedizione nascosta dietro l’inesistente sigla milanese dei Fratelli Muscente. Per attirare l’attenzione sulla propria opera Di Leo inventò di aver trovato quelle poesie… Di averle avute dai parenti di un giovanissimo poeta abruzzese, Antonino Teseo, nato a CampotoSole, palla di zuccherosto il 20 maggio ’44 e che si era ammazzato nel luglio del ’65. Raccontò, ancora, che il suo amico si era ucciso gettandosi da un burrone e che aveva lasciato scritti preziosi. Riuscì, con questo stratagemma, a creare un caso letterario. Ma dopo un po’ il “trucco” fu scoperto: a svelare l’identità del vero autore fu lo scrittore Giuseppe Rosato, scrittore di Lanciano.

In “Frantumi” Clemente Di Leo avverte: "Certamente, quando avrai finito di leggere questo libretto che Ti si perde fra le mani, dovrai riprendere a fare ciò che stavi facendo un attimo fa; e forse Ti pentirai di aver contratto 
le mie poesie col Tuo piatto di pastasciutta.
Ma non avercela con me. Io sto di un dito sopra queste macchiate pagine di carta, l’unica consistenza che Ti rimarrà in consunzione".

Dalla prefazione di Edvige Rossi Lamberti: "Con “Frantumi di una reggia azzurra” Clemente Di Leo diviene un’esperienza conchiusa. Come Rimbaud, egli a men che vent’anni ha creato e determinato il suo mondo poetico.
La Poesia è per Di Leo anzitutto un rifiuto della realtà. Dice in un appunto che mi ha mandato: “Mi sono ribellato all’esistenza divenendo forma astratta e puramente gratuita. Ma così non valgo un’albicocca”. “E’ inutile che cerchi di sfuggirmi. Tu sei fatta di carne ed hai bisogno dei miei occhi”.

“La voce di Ungaretti ed i baffi di Quasimodo mi fanno ridere, ridere a crepapelle”. [...] ogni mia carta scritta è per me sempre automaticamente secondaria poiché è una ripercussione visibile della mia voce atona”. Ed ancora: “Non sono poeta-letterario ma Poeta dell’Essenza. Non appartengo alla poesia delle lettere ma a quella vissuta, sentita nella verità del mio Spirito. Voi non saprete mai Questa Poesia. Questa Poesia sono Io".



Oltre 50 dei “pezzi” presenti in "Frantumi" furono composti di getto tra marzo e maggio del 1965, però la prima “Pescara” è del 3 ottobre 1964 e l’ultima “La vita” è del 29 marzo 1966.  L’opera si presenta come una piramide di 86 blocchi sempre pronta a sfasciarsi e ricomporsi, e si divide in tre parti principali, oltre i Preamboli: dapprima assistiamo alla creazione dell’io e al suo determinarsi (La mia reggia e Amori regali); poi allo scontro fra l’io ed il mondo (Discesa sulla terra, Amori Terrestri e Vincitori e vinti); ed infine all’oscuramento ed all’annullamento dei valori e della posizione acquisita (Canti della notte ed Amori notturni). 




“Le lunghe gambe vestite di nero tra i palazzi ti guardi, Cinno. Lastre di alluminio le strade ti carpiscono gli umori di menta; ma i pastori sulla breccia dei colli, urne di Annibale, sono misere scaglie e bruchi dalla terra dei serpi salutando il letto di cartocci l’ultimo lupo squarciato nel ventre.

Non ti preme perdere l’assenzio dei boschi, pure l’alluminio ti canta, fremi ai suoni dei clacson come ai primi cuculi, incredibile Cinno”



***

Ultimo figlio del bosco 
non parto senza un tatuaggio, 
una radice che trafori i basalti 
si incendi nel mezzo del magma per 
rifiorire dai crateri nel cielo 
Tu che sommuovi le sopracciglia 
davanti a questo viso longobardo 
alla sua voce vulcanica 
e abbrividisci, 
non resisti tra le giacche inamidite dei parenti 
tra le sedie messe in fila dal ferraio
***


Ora lo vedi, amica; la mia 
strada è l’assurdo e segui 
uno stupido narciso in una 
infinita conca di letame
***


Poesia, ti ho in mano come una mela marcia 
ma se ti lancio, brilli come una cometa. 
Averti addosso è una lunga puzza 
ma se ti dico "Su, entriamo anche noi" 
tu ti fai grande signora 
ed io un cavallo odoroso. 
Suggestione del presentatore. 
Noi in una sala pulita 
non abbiamo niente da fare. 
***


(da " Gilgàmesh”)


“...Io che se muovo un dito posso realizzare i miei sogni 
questa notte voglio andarmene tutto solo 
dove i sogni non si consumano 
lieto come un garzone un po' picchiato 
che ha mille lire in tasca ... . 
Voglio romperla con te, Vita, strega insaziabile 
che già hai bruciato il mio ultimo passo 
e mi rubi di bocca la parola più fresca.. 
Lascio la schiena su questa muraglia 
e gli occhi a perdersi in questo 
cielo stracarico di stelle.” 




E’ magnifico essere poeta 

E' magnifico essere poeta. 
Hai in gola un vaso di marmellata 
e nelle viscere un velo di seta 
che preso anche da un'aquila 
o da un missile 
e tirato per sempre negli spazi 
non si arrende mai, della sua infinitezza anzi 
può avvolgere tutto l'universo. 
Dai pori del tuo corpo senti crescere gelsomini 
e il loro delizioso profumo 
stura il muco delle tue narici. 
Stai come un dio su un fiume solenne 
che ti trasporta e lava 
il giallo schifoso delle tue orecchie. 



In alto c’è la luna d’aprile 

In alto c’è la luna d’aprile 
e corre nell’aria un fremito 
di giovenche sciolte 
a galoppo sui colli bianchi.
E’ tempo di baci.
***



“Sono un uccello senza piume dentro un tunnel. 
A nulla serve sbatacchiare per uscirne. 
Bene dunque. Farò qui il mio nido.”



Le madri del Sud 

Le madri del Sud non baciano i figli. 
Come mucche trasportano 
il peso del vivere 
e dormono. 
E se un’alba parti, 
gemono tra le canne vuote 
sino al loro tramonto.





(da “Ballata”)



“…Sì è bella la vita con le sue viole 

con le bocche delle donne 
e la mortadella a colazione. 
Sì è bella, vale 
e ve lo dico o rovi, adesso che ho bevuto 
e cinque trenta gocce mi scivolano sul mento 
fresche e luminose 
come i diamanti che si vedono sui giornali. 
Vale! Vale!” 


La morte 

Educate i bimbi alla morte. 
E’ irreale l’unica cosa vera 
ma lì scoppiano i colori della vita 
da lì ogni uomo è un atleta. 



(da “Ciliegie”)

“Vado da un ramo all’altro come una gazzella 
e un pugno di ciliegie alla volta 
mi metto in bocca. 
Scusatemi formiche se vi schiaccio coi piedi 
E voi passeri che vi ho fatto scappare!” 



Sole 


Sole, palla di zucchero 
non si muove una foglia.
Cantano due tre cicale 
e le api, indugiano a staccarsi 
sbaciucchiano e ribaciucchiano i fiori. 
Sono felici anche i miei calzoni 
Imbrattati di verde. 
Io dormo e mi chiamo Nessuno.



foto di Michele Foschi



Nascita 

Mi sono ritrovato 
con un nome 
tra pietre; 
e senza risposte 
mi consumo con loro.




La belva sacra 


Sono il primo lupo rosso della Maiella 
che deserta le tane buie degli avi 
e si sdraia sui divani delle case 
come un’antica belva sacra.




Venga avanti chi si dice poeta 



Venga avanti chi si dice poeta. 

Qui lo voglio vedere 
sui colli o sull’asfalto 
nella sua maniera di fare e di dire. 
Inganna la qualità della carta, 
e della china, l’impostazione tipografica. 
Mi sarei impiccato da un pezzo 
se la parola non mi scoppiasse 
quando sto camminando, alla gola.



La Contea dei ginepri 



Sette ginepri, un ciuffo di margherite, 

nibbi che striano l’aria, 
un fosso d’acqua dove non pesca l’uomo, 
fanciulle un attimo, i silenzi sacri. 
Questa è la Contea dei ginepri; 
la devi spaccare la scorza delle querce 
con un pugno – tanta è la forza 
per poterci vivere.



foto di Michele Foschi



(da "Notte a Venezia")

“…E i grilli che non ti cantano 
nascosti sotto il quadrifoglio fortunoso 
che profuma ogni volta a primavera 
e si falcia per le fauci aperte 
delle bestie che muoiono e si rinnovano, 
e il miscuglio di antichi odori di api 
e colori di fiori violacei e vermigli 
consunti nei miei ricordi ripenso…” 




Ti scrivo 

Ti scrivo fra gli sterchi dei muli 
tra le ortiche mosce, 
appoggiato a una muraglia in sfacelo. 
Robuste come questa desolazione 
ti balzeranno le mie parole. 


(da " Salute o rondini")


“Salute o rondini, mi tornate, 
e con voi la voglia mi torna 
di sciogliere inni d’angeli all’aria, 
di premere le dita sulle pietre 
come fossero pianoforti, 
di baciare questi sorci color rosa 
che escono fuori lividi e infreddoliti…” 




(da "Poesia") 


“Poesia, ti ho in mano come una mela marcia 
Ma se ti lancio, brilli come una cometa. 
Averti addosso è una lunga puzza 
Ma se dico "Su, entriamo anche noi" 
Tu ti fai una grande signora 
Ed io un cavallo odoroso….”










(da “Notte abbracciami”)




"Voglio sbattere la faccia 
nell’acqua dei pantani, 
avvoltolarmi per terra 
come un asino aggredito 
dalle vespe, e ridere. 
Questa cretina di luna 
Si fa bella nei miei occhi; 
non si vergogna di esistere 
perché è senza cervello.” 









(da “Guappo”)

“…E’ brutta la vita scura del verme 
ripugnante quella del ragno 
che tesse trappole e si ritira; 
vuoi mettere un gambero con un bucaneve? 
Ma neanche per scherzo! 
Il mio corpo è una quercia verde 
e passo per le strade come un guappo… 
… La vita è una creta che puoi modellare come vuoi 
una mazza fresca su cui puoi intagliare 
qualsiasi disegno!” 




Ridatemi le carte 
Ridatemi le carte, fifoni, 
voglio andare in bestia. 
Quattromila lire, tutto quello che ho 
per me è come niente. 




La notte 

Non vive né uccide, la notte. 
E’ solo coperchio che sigilla 
uno stagno che tace. 
Domani è alba: resteranno specchiati 
i girini: e nulla sarà mutato.


Ti dico viviamo

Ti dico viviamo.
Non abbiamo nulla da perdere
tutto è perduto in partenza
I manichini di gesso
hanno di cuori scala reale:
ci restano quattro mani di glicini
da consumare sul tavolo bianco.


foto di Michele Foschi



Il cappello di panama

Questo cappello di panama
mi costa duemila lire.
Lo chiamerò gioia.
Alla sua ombra faccio festa
Sei cinque formiche
esplorano la mia pancia.
Cinesi infi-infiniti
pestano gli altopiani del Tibet.
"non rendere" è il palo
dove ho appoggiata la mia testa.
Non so tenere un confetto in bocca
senza tritarlo presto.
I denti mi scartocciano versi
come nocelline.
Sono pigro al punto di alzarmi.
Ragazzo, qui bisogna mutare strada
farsi attore di teatro, portiere
romanziere o qualche altra stronzata.
Lettore, scusa la pubblicità,
se ti serve un cane di razza
o un poema da cerimonia,
dico sul serio, scrivimi,
eccoti l'indirizzo:
Clemente di Leo, 66010 Colledimacine CH
Editori illustrissimi,
se cercate un libro straordinario
venite a stanarmi.
Dottor regista, dico anche a lei:
mi prepari un cappello che sembri di canapa.




Il mio debole

Il prato del silenzio
è il mio debole.
In questo lago di bellezza
ogni atto sembra
un salto di ranocchio.
Ma il sangue è anarchico
ed io ci scaglio sassi.



La mia libreria

Ho bevuto ogni cervello d'uomo
senza brocca. Col cuore in moto
per balze silenziose ho aperto
una libreria di muschi e intuiti.
Solo io mi conosco: prima ognuno
parlava con la sua bocca -
nessuna uguale alla mia.


foto di Michele Foschi



Note di bordo

La situazione di bordo è rischiosa.
La bussola segnala tutti i punti, nessuno.
Oggi approdo.
Il mio occhio ha la suggestione dei mari.
Si meravigliano che mi dico principe
sedendo in una poltrona non mia.
E' il prezzo che valuto la terra.
Trovo scritto nel mio libro maestro:
"ho pronta una sputata per tutti.
Ognuno mi saluta sorridendo"

Sono un ragazzo e diecimila folletti.
Mi si rimprovera la pazienza del vetraio.
Mi escono bottiglie quando voglio damigiane.
Al timone ho messo un pagliaccio di fiori.
Il mare, il mare sotto, galoppa.
Per me la vita è una scorpacciata di pesche.
Per i più la vita è coltivazione.




Come un cane che vale

Come un cane che vale
al guinzaglio di un padrone idiota
sono la vittima di un governo fantoccio.
Nessun ha speso un bicchiere d'acqua
una lira per la mia causa;
con le vincite a STOP
mi comprai un dizionario di nascosto.






Epigrammi

1
Gabriele, ho sprezzato sempre i collegiali
cacandomi le vacche sui piedi assolati.
Il mio sentiero è quello dei cuccioli
bastardi, degli asini mai strigliati.
Oggi incontrandoti nell'antologia di un amico
da escluso mi faccio della schiera.
Ti trovo il più vero e a me il più consanguineo.

2
Montale Quasimodo Ungaretti
lasciate di scornarvi
per il mio magistero.
Siete tre ruscelletti magri
e tutti e tre avete avuto la colite.

Tu montale ti sei lesso
a contatto con la Manica e il Corriere.
Ma non hai saputo mascherare bene
che trent'anni sono troppi
per dare i primi ossi.
Volevo vederti a Capracotta.

Salvatore, il tuo calore
ha fatto presa con lo zio
di Milano. Non capisco
però che vuoi dire. Comunista
potevi diventarlo prima
o tornare al sud se tanto ti piaceva.

Ungaretti, ma che simpatico sei.
Appena sapesti di valere
non hai saputo più cantare.
Sono scherzi di coscienza.

3
Pavese caro, non bisogna farsi
attirare dalle Montagne
Rocciose. Dovevi dire
di arrossire per una donnina.

4
Calvino, mi piace il tuo sorriso
meraviglioso. I tuoi libri
lo sai, non valgono una H.

5
Quest'anno vincerò il Viareggio.
L'Italia è tutta scamorze
lampadine gonfiate sotto vuoto spinto.
Ho una voglia matta
di stracciare milioni in faccia
al primo collega di sillabe.

6
Lettore, niente mi hai dato
perchè piantassi il ciliegio.
Ma senza vergogna strappi
i ceci al mio prato.
Fa pure con comodo:
narro per servirmi.



foto di Michele Foschi



 Le opere scritte e pubblicate da Clemente Di leo

1963. Frammento Lirico di Massimo Rocovic Editore: Clemente Di Leo editore

1964. Cimeli di Massimo Rocovic editore: ‘Edizione Principe Clemente Di Leo’

1966. Frantumi di una reggia azzurra di Clemente Di Leo. Editore: ‘Fratelli Muscente Editori’ Milano

1968. Una lunga puzza di Clemente Di Leo editore: ‘Edizione dell’Amore’

1970. Gilgàmesh di Clemente Di Leo. Editore: ‘La Madia’ L’Aquila


Pubblicazioni postume

1985. Clemente Di Leo Poesie con prefazione di Giuliano Manacorda

1996. Un nome tra le pietre per Clemente Di Leo a cura di Pina Allegrini e Marina Bonincontro

2001. Cd-rom Biografia e Opere di Clemente Di Leo uscito come supplemento alla rivista “D’Abruzzo”


***
La maggior parte del materiale che ho utilizzato è disponibile su http://www.clementedileo.it/ e 
altro materiale stravagante lo trovate qui e qui

Qui è possibile acquistare il libro 
Il poeta e la sua signora. Vita e poesie di Clemente Di Leo.

Il materiale è stato editato per esigenze di brevità e chiarezza.









4 commenti:

  1. http://www.metamagazine.it/clemente-di-leo-urlo-poeta/

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    Risposte
    1. Gentile Sabrina, ho condiviso su G+ il tuo post su Clemente Di Leo. Grazie per la tua attenzione. Cordiali saluti.

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  2. Grazie a te per la condivisione. Cordialmente.
    Sabrina

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  3. ...per i più la vita è consolazione, non coltivazione.
    Comunque grazie per questi pensieri

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